La tragedia di San Pietro a Maida, familiari in attesa della giustizia
Il fiume di fango e detriti travolse l’auto sulla strada provinciale 113. Angelo Frijia: “Nessun responsabile per la morte della mia famiglia”
Sono trascorsi due anni dalla morte di Stefania e dei suoi figlioletti
Giustizia. È quanto invoca Angelo Frijia, marito di Stefania Signore e papà di Niccolò e Christian, morti tutti e tre nel tragico incidente avvenuto il 4 ottobre di due anni fa lungo la strada provinciale 113, nel comune di San Pietro a Maida. La giovane donna, originaria di Gizzeria Lido, stava rientrando a casa insieme ai figlioletti di due e sette anni, quando la loro auto fu travolta da un fiume d’acqua e detriti. Non lasciando loro alcun scampo. Le tre giovani vittime furono ritrovate tra gli oliveti circostanti.
Il marito e papà Angelo Frijia, affidatosi a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato nella gestione di incidenti stradali mortali, non si dà pace: “La mia vita è ferma a quella sera, distrutta per sempre – commenta con un filo di voce – i miei figli, mia moglie, nessuno me li ridarà più, avrei voluto morire con loro e invece sono vivo. Sono vivo e oltre a dover portare questo macigno, devo anche convivere con il fatto di non avere ancora alcuna risposta dalla giustizia. Non auguro a nessuno di svegliarsi ogni giorno da solo con lo stesso e martellante pensiero: l’incidente si sarebbe potuto evitare? Sono molto arrabbiato e sconfortato dalla lentezza della giustizia di fronte a una tragedia di questa portata. Capisco che ci siano dei tempi tecnici, ma di fronte ad un incidente così tragico uno si aspetta un minimo di attenzione in più. Assieme ai nostri avvocati, stiamo cercando di sbloccare la situazione, di sapere a che punto siano le indagini. Voglio sapere che cosa sia realmente successo, voglio solo giustizia per la mia famiglia”.
L’incidente. La sera del 4 ottobre 2018, verso le 20.15, Stefania è a bordo della sua Alfa Mito in compagnia dei suoi due figlioletti, Niccolò di due anni e Christian di sette anni, sta percorrendo la s.p. 113 dirigendosi da San Pietro a Maida verso San Pietro Lametino. Tornano a casa dopo aver trascorso il pomeriggio dai nonni perché la mamma lavora al call center, è buio, la pioggia è battente e la strada comincia ad allagarsi. Ad un certo punto Stefania perde il controllo dell’auto e sbanda fermando la sua corsa di traverso rispetto alla carreggiata.
La donna nota che l’acqua sta entrando nell’abitacolo, è spaventata, il buio e la pioggia la disorientano. Istintivamente cerca di mettere al sicuro i suoi due bimbi abbandonando il veicolo, ma il forte flusso d’acqua travolge tutto e Stefania e i due piccoli si perdono tra il fango e i detriti. I corpi di mamma e figlio maggiore vengono ritrovati esanimi di lì a poco, mentre il corpicino del piccolo Niccolò viene rinvenuto una settimana più tardi, coperto di fango a 500 metri dal luogo dell’incidente.
La perizia. I consulenti di parte, l’ing. Fausto Carelli Basile e il geologo Francesco Martorano, nella loro analisi, avrebbero riscontrato alcune “inosservanze” a carico dell’ente responsabile della manutenzione e della sicurezza della strada provinciale 113. Sostengono la “prevedibilità dell’allagamento” di quella sede stradale in caso di forti precipitazioni dovuta “alla sua conformazione in trincea rispetto al terreno circostante” e “la mancata apposizione di un segnale verticale di pericolo, pericolo non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza”. I periti sostengono che se Stefania, “tenuto conto dell’allerta meteo “gialla” diramata e della forte pioggia in atto, fosse stata a conoscenza che il tratto di strada che intendeva percorrere poteva essere soggetto ad allagamento, avrebbe potuto scegliere un percorso alternativo o decidere di fermarsi per aspettare il miglioramento delle condizioni meteo.
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Papà Angelo chiede giustizia
I consulenti di parte evidenziano le criticità della strada provinciale 113. Due anni fa la sua famiglia distrutta da un’alluvione
“Sono molto arrabbiato sconfortato dalla lentezza della giustizia di fronte ad una tragedia di questa portata. A che punto seno le indagini? Vogliamo sapere cos’e realmente successo. Voglio solo giustizia per la mia famiglia”. Angelo Frijia non si da pace a due anni dalla tragedia di San Pietro Lametino quando ha perso la moglie e i suoi due figlioletti. “La mia vita è ferma a quella sera, distrutta per sempre – commenta con un filo di voce – i miei figli, mia moglie, nessuno me li ridarà più, avrei voluto morire con loro e invece sono vivo. Sono vivo e oltre a dover portare questo macigno, devo anche convivere con il fatto di non avere ancora alcuna risposta dalla giustizia italiana. Non auguro a nessuno di svegliarsi ogni giorno da solo con lo stesso e martellante pensiero: l’incidente si sarebbe potuto evitare?”.
Nessuna risposta, dunque, da quel tragico 4 ottobre 2018. Non si è ancora fatta luce sulle responsabilità del tragico incidente sulla strada provinciale 113 che costò la vita a Stefannia Signore, 30enne di Gizzeria Lido e ai suoi due figlioletti di 2 e 7 anni. Il marito e papà Angelo Frijla, affidatosi a Giesse Risarcimento Danni, chiede sia fatta luce su eventuali responsabilità.
La sera del 4 ottobre 2018, verso le 20.15, Stefania è a bordo della sua Alfa Mito in compagnia dei suoi due figlioletti, Niccolò di due anni e Christian di sette anni, sta percorrendo la provinciale 113 dirigendosi da San Pietro a Maida verso San Pietro Lametino. Tornano a casa dopo aver trascorso il pomeriggio dai nonni perché la mamma lavora al call center, è buio, la pioggia è battente e la strada comincia ad allagarsi.
Ad un certo punto, nei pressi del chilometro cinque, Stefania perde il controllo dell’auto e sbanda fermando la sua corsa di traverso rispetto alla carreggiata e con parte sinistra della Mito esposta al deflusso dell’acqua. L’auto è di traverso e la donna nota che l’acqua sta entrando nell’abitacolo è spaventata, il buio e la pioggia la disorientano. Istintivamente cerca di mettere al sicuro i suoi due bimbi abbandonando il veicolo e uscendo dalla portiera sul lato del passeggero. Appena si allontanano di qualche metro, il forte flusso d’acqua travolge tutto violentemente e l’auto, Stefania e i due
piccoli si perdono tra il fango e i detriti. I corpi di mamma e figlio maggiore vengono ritrovati esanimi di lì a pocò, mentre il corpicino del piccolo Niccolò viene rinvenuto solo una settimana più tardi, coperto di fango, a cinquecento metri di distanza dal luogo dell’incidente.
La Procura della Repubblica di Lamezia aprì un’inchiesta di cui però allo stato non si è saputo nulla. I consulenti di parte, l’ingegnere Fausto Carelli Basile e il geologo Francesco Martorano, nella loro analisi, evidenziano alcune inosservanze a carico dell’ente responsabile ella manutenzione e della sicurezza della strada provinciale 113. Sostengono la “prevedibilità dell’allagamento” di quella sede stradale in caso di forti precipitazioni dovuta “alla sua conformazione in trincea rispetto al terreno circostante” e “la mancata apposizione di un segnale verticale di pericolo, pericolo non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza”.
Per agevolare l’attività d’indagine, tali evidenze sono state messe a disposizione della Procura. Nella loro analisi ipotizzano che se Stefania, “tenuto conto dell’allerta meteo “gialla” diramata e della forte pioggia in atto, fosse stata a conoscenza che il tratto di strada che intendeva percorrere poteva essere soggetto ad allagamento, avrebbe potuto scegliere un percorso alternativo o decidere di fermarsi per aspettare il miglioramento delle condizioni meteo.
“Capisco che ci siano dei tempi tecnici, ma di fronte ad un incidente così tragico uno si aspetta un minimo di attenzione in più – dichiara papà Angelo – assieme ai nostri avvocati, stiamo cercando di sbloccare la situazione, di sapere a che punto siano le indagini. Voglio sapere che cosa sia realmente successo, voglio solo giustizia per la mia famiglia”.
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