Risarcimento del terzo trasportato per il mortale a Udine.
Il 4 maggio 2020, a Codroipo in provincia di Udine, una Mercedes con a bordo due persone esce di strada e si schianta poco più avanti. La donna (terzo trasportato) muore, mentre l’uomo sopravvive.
Non è stato facile, per gli inquirenti, ricostruire la dinamica del sinistro e capire chi fosse alla guida del mezzo. Ma, grazie alla testimonianza di un camionista, è finalmente emersa la verità: al volante della Mercedes c’era il compagno della vittima che è stato condannato a 4 anni di reclusione.
La donna, quindi, era seduta accanto a lui come terzo trasportato, e alcuni dei suoi familiari si sono affidati a Giesse Risarcimento Danni per ottenere il risarcimento che spetta loro di diritto: “Siamo soddisfatti perché è emersa finalmente la verità” commenta Riccardo Rigonat, responsabile della sede Giesse Risarcimento Danni di Gradisca.Nello scontro morì la compagna, era lui che guidava: inflitti 4 anniAlla tragedia della morte della compagna e madre dei loro tre figli, Giulia Comuzzi, a soli 36 anni, in un incidente avvenuto sotto i suoi stessi occhi, a carico di Emanuele Sandri, 42 anni, di Udine, era seguito un doppio calvario giudiziario.
Quello scaturito dalle accuse del più grande dei loro ragazzi, tutti nel frattempo affidati alla zia materna, rispetto a presunti maltrattamenti in famiglia.
E quello di una sua ipotetica responsabilità colposa, trovandosi lui, e non la vittima, alla guida della Mercedes quando, dopo aver tamponato l’auto che la precedeva, il 4 maggio del 2020, carambolarono fuori strada, alle porte di Codroipo.
Il primo procedimento si era chiuso qualche tempo fa, davanti al giudice del dibattimento, con un’assoluzione che restituiva pace quantomeno alla sfera domestica del suo passato.
Il secondo processo, celebrato con rito abbreviato condizionato all’audizione dei consulenti, invece, è approdato ieri ala sua condanna a 4 anni di reclusione. E cioè a una pena più alta rispetto ai 2 anni e 8 mesi chiesti dalla Procura.
La sentenza è stata emessa dal gup del tribunale di Udine, Mariarosa Persico, che d’accordo con l’impianto accusatorio proposto dal pm Maria Caterina pace e dalle persone offese, che nel procedimento hanno scelto di non costituirsi parte civile, ha ritenuto l’imputato colpevole di omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza.
Riconoscendogli, però, la diminuente legata al mancato utilizzo della cintura di sicurezza da parte della vittima, oltre che la riduzione prevista per la scelta del rito.
Il difensore, avvocato Stefano Comand, aveva concluso per l’assoluzione piena, ritenendo contradditoria la testimonianza del camionista che, con le sue dichiarazioni, aveva confermato l’ipotesi che al volante dell’auto ci fosse Sandri e che quindi la compagnia si trovasse sul lato del passeggero.
Scontato l’appello. «Ci sono margini di incomprensibilità – ha detto il legale – soprattutto con riguardo al trattamento sanzionatorio».
Era stato un post su Facebook del camionista a mutare le sorti del procedimento, inizialmente incagliato nella difficoltà di stabilire dove si trovasse la vittima prima di essere proiettata fuori dall’abitacolo.
Contattato dai familiari – all’udienza erano presenti i genitori, seguiti dagli avvocati Alessandro Mauro e Alberto Tofful, e altri parenti, affidatisi invece alla Giesse risarcimento danni – e sentito poi dagli inquirenti, la settimana scorsa l’uomo aveva ricostruito i fatti in aula su richiesta dello stesso giudice.
Sorpassato una prima volta dalla coppia lungo un ponte sulle Pontebbana, non aveva potuto non notarla quando, subito dopo, la loro auto aveva svoltato a destra per fermarsi in uno slargo: è lì che era avvenuto – e lui aveva avuto modo di osservare – lo scambio di posto.
Il tempo di rimettere in moto e, ripresa velocità, lo avevano superato di nuovo, per immettersi infine in via Pordenone. «Guidavano come pazzi e al volante non c’era lui, ma lei» aveva scritto una volta arrivato a casa e trovata la notizia dell’incidente.
«Ha cambiato versione tre volte» aveva argomentato l’avvocato Comand, insistendo poi su una serie di elementi, tra cui il ritrovamento di una scarpa della vittima incastrata sotto l’aletta parasole del lato conducente e le dichiarazioni di quattro testimoni che avevano sostenuto di avere visto Sandri uscire dal portellone di destra.
Per non dire, secondo il difensore, dell’assurdità di cedere a lui la guida, sapendo che aveva bevuto e, soprattutto, che aveva la patente revocata dal 2014.
Giulia ed Emanuele stavano rientrando dalla spesa: era il primo giorno “libero” dopo il lockdown.
Articolo del “Messaggero Veneto“.LINK agli articoli online: